A dicembre si è chiusa con una sentenza che annnulla l’ordine di demolizione di una pergotenda collocata sulla terrazza di un albergo romano. L’ha pronunciata il Consiglio di Stato, la suprema autorità di giustizia amministrativa. Per vent’anni il Comune di Roma ha contestato la legittimità della struttura ritenendo erroneamente che le pergotende quale intervento in edilizia libera fossero riservate solamente all’edilizia abitativa .
Avevamo chiuso da poche ore l’articolo sulla sentenza, direi storica, del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, ossia il TAR siciliano, sulle pergotende. che un lettore romano ci girava una altrettanto importante sentenza del Consiglio di Stato sullo stesso oggetto: le pergotende.
Una storia ultraventennale
La sentenza pronunciata dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) lo scorso dicembre ha chiuso una tormentata vicenda lunga più di venti anni. Riguarda una pergotenda collocata sulla terrazza di un albergo romano. E’ da notare che prima dell’nstallazione il committente, un albergatore romano, aveva fatto depositare una DIA e aveva ottenuto il via libera della Sovrintendenza per i Beni Artistici e Architettonici di Roma addirittura del 19.3.1998.
La Polizia Municipale Capitolina accertava il 4.3.2006 quella che riteneva fossero una serie di abusi collegati alla pergotenda. Ne seguiva la sospensione dei lavori e, più avanti, nel tempo l’a’ordine di demolizione delle opere. La querelle finiva davanti al TAR del Lazio che nel 2021 dava ragione al Comune. Ma il committente non demorde. Alla fine fa ricorso al Consiglio di Stato che il 15 dicembre scorso pronuncia la sua decisione annullando l’ordinanza di demolizione.
La sentenza sulla pergotenda
Il Consiglio di Stato anzitutto ricapitola lo stato dei luoghi e quanto effettivamente realizzato e richiama il contenuto della Circolare n. 19137 del 9.3.2012 del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica di Roma Capitale che al punto 3.2 precisa che:
“l’attività edilizia totalmente libera trova la sua disciplina nell’art. 6, comma 1, del T.U.E. e riguarda interventi non subordinati ad alcun titolo abilitativo. Sono da considerarsi, a titolo esemplificativo, le opere di seguito individuate: (…) f) strutture semplici, quali gazebo, pergotende con telo retrattile, pergolati, se elementi di arredo annessi ad unità immobiliari e/o edilizie aventi esclusivamente destinazione abitativa”, nonché “tende autoportanti, tende in aggetto, ombrelloni, pedane, fioriere al servizio degli esercizi commerciali e di ristorazione, ubicate su suolo pubblico, ferma restando l’acquisizione della specifica autorizzazione amministrativa secondo quanto previsto dalle deliberazioni di Roma Capitale in materia di occupazione di suolo pubblico e naturalmente esclusa la loro chiusura sui muri perimetrati”.
Manca l’autonomia funzionale
L’elenco posto a titolo esemplificativo dalla circolare, precisano i giudici, deve ritenersi esteso anche ai manufatti tipo “pergotenda” al servizio non di abitazioni, ma di esercizi di ristorazione. La mera funzione ancillare di riparo dagli agenti atmosferici (radiazioni solari, pioggia, vento), nonché l’uso di materiali dal non rilevante impatto visivo sono, di per sé, indice della mancanza di un’autonomia funzionale apprezzabile.
Anche le pergotende sono edilizia libera
Così la Sezione sesta del Consiglio di Stato “deve confermare anche nel caso presente, questi interventi non rientrano tra quelli sottoposti dall’art. 10 del DPR 380/2001 a permesso di costruire, in quanto non costituiscono intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio mediante nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica”.
Le pergotende non sono intervento di ristrutturazione edilizia
I giudici aggiungono che le pergotende “in ragione delle sue caratteristiche costruttive e funzionali, non costituiscono nemmeno intervento di ristrutturazione edilizia suscettibile di portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comportante aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero mutamenti della destinazione d’uso. La qualificabilità dell’intervento in termini di “pergotenda”, ovvero un’opera precaria sia dal punto di vista costruttivo sia da un punto di vista strettamente funzionale esclude la necessità di titolo edilizio e quindi non necessita di titolo abilitativo”.
La sentenza: niente permesso di costruire
Infine, il Consiglio precisa ancora: “questi lavori non sono riconducibili tra quelli che il D.P.R. 380/2001 assoggetta a permesso di costruire, trattandosi di struttura di arredo, tali da rendere possibile la loro rimozione previo smontaggio e non per demolizione, e quindi qualificabile come un’opera che per la sua caratteristica “retrattile” non assume i caratteri della stabilità e della permanenza e conseguentemente non altera o meglio non crea nuovi volumi”.
NB: il D.P.R. 380/2001 è il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, noto anche come T.U. Edilizia o T.U.E.
In allegato qui sotto la sentenza.
Ennio Braicovich
Immagine in alto: doc. Resstende